Un rospo enorme che tre ragazzini fanno scoppiare in faccia ad una passante. Comincia così, in mezzo alle splendide messi dorate dell'Idaho, alle fattorie come case squadrate dal grand'angolare e dai colori saturati iperrealisti che ricordano il Terence Malik de I GIORNI DEL CIELO questo primo lungometraggio di un pittore e romanziere inglese che farà certamente parlare di sé.Seth, uno dei ragazzini si porta addosso tutte le responsabilità del Male: flirtando, come fa, con l'orrore, per non dire la perversione. Sennonché, quello di Ridley non è un film, come quelli di David Lynch, che vuole "soltanto" giocare con il fantastico. Ben presto ci accorgiamo che le sue ambizioni - cosa che succede talvolta ai primi colpi - sono infinite: e Seth diventa , più che sorgente di ogni male, vittima e carnefice al tempo stesso. Così il film si fa morale. E, quella di Seth, metafora sull'infanzia: luogo sofferto di tutte le violenze, ed al tempo stesso di tutte le intuizioni e di tutti i privilegi.
Da divertissement estetizzante su feti e vampiri più o meno immaginati, il film finisce così per scappare in ogni direzione. Tolto quella desiderata: la lungimiranza, magari tragica, che precede l'età adulta.
Tentato dalla seduzione della forma, è infatti come se il pittore londinese abboccasse a tutti gli ami: psicanalitici (padre debole, madre isterica) , sociologici o cinematograficamente referenziali (L'ALTRA di Mulligan, PSYCHO e, ovviamente Lynch). Grandiloquente e passabilmente pasticcione THE REFLECTING SKIN finisce così per rimettere in questione il talento figurativo (indubbio) del suo autore.